Chi ha inquinato deve pagare.

Questo processo-bis ad Alessandria terrà conto della nuova Direttiva approvata dal Parlamento Europeo? Riprenderà, nell’accusa, il reato di “dolo” formulato dalla Procura nel 2010 ma nella sentenza riformato (con fortissimi sconti di pena) in reato di “colpa”? 

La nuova direttiva sulla protezione dell’ambiente include i cosiddetti “reati qualificati“, che portano alla distruzione o al danneggiamento significativo di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio: ad esempio l’inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo.

Per gli imputati, le conseguenze per aver commesso un reato ambientale possono essere pene detentive fino a dieci anni se la loro azione causa la morte di una persona. Nella maggior parte dei casi, comunque, la pena prevista per reati commessi con negligenza è di cinque anniotto per quanto riguarda i “reati qualificati“.

“La nuova direttiva apre una nuova pagina nella storia dell’Europa, definendo una tutela nei confronti di coloro che danneggiano gli ecosistemi e, attraverso di essi, la salute umana. Significa porre fine all’impunità ambientale in Europa, cosa cruciale e urgente” afferma Antonius Manders  relatore della direttiva. Di questa impunità in Italia abbiamo ampiamente documentato nei due libri “Ambiente Delitto Perfetto” di Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia.

A seguito di questa Direttiva, Solvay non si preoccuperebbe come sempre dei direttori, adeguatamente retribuiti per il rischio “professionale”, al presente: Andrea Diotto e Stefano Bigini, ma  al più per le pene pecuniarie: le sanzioni arrivano fino al 5% del fatturato annuo globale di un’azienda responsabile di reati ambientali o alla cifra fissa di 40 milioni di euro, a discrezione degli Stati membri.  I trasgressori dovranno inoltre risarcire il danno causato e ripristinare l’ambiente danneggiato.

Solvay si nasconde dietro le autorizzazioni (AIA) della Provincia di Alessandria. Secondo la precedente direttiva Ue sui reati ambientali, finché un’impresa   rispettava le condizioni di un’autorizzazione, essa pretendeva che le sue azioni non fossero considerate illegali. Un esempio, raccontato da Antonius Manders riguarda il caso giudiziario dell’industria chimica olandese Chemours che nel lontano 1982 ottenne l’autorizzazione a sversare nelle acque i Pfas prima che queste sostanze fossero identificate come dannose per la salute umana. Questa foglia di fico, oggi, non copre i dirigenti Solvay che, dolosamente, hanno sempre saputo che i Pfas sono tossici e cancerogeni.