“Cinque anni sono un tempo molto lungo” ma “tutto è ancora fermo”. Non “c’è ancora giustizia”, non “c’è una legge a tutela dei cittadini”. In una lettera aperta Giovanna Donato, l’ex moglie di Andrea Cerulli, portuale di 47 anni, una delle 43 vittime del crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018), ricorda i cinque anni passati vicino al figlio Cesare che a 9 anni perse il papà. E constata, amaramente, cosa non è stato ancora fatto, senza mai smettere di chiedere di fare luce su cosa sia successo quel giorno. Lamenta la signora Giovanna che “in cinque anni non si è riusciti a revocare alla concessionaria colpevole ma a liquidarla profumatamente, non c’è ancora un memoriale né rinascita di un quartiere prima abbandonato e dopo straziato dalla tragedia; l’informazione pubblica ha dimenticato la vergogna di questa tragedia nazionale rendendola invisibile agli occhi di tutti gli italiani. La città di Genova ha avuti grossi finanziamenti per la tragedia investi in opere discutibili. Un disegno di legge richiesto per la tutela di tutti i cittadini è ancora fermo quando ogni giorno vengono fatte leggi a discapito dei cittadini”. Giovanna Donato non ha mai smesso di chiedere giustizia. Perché questo è il dato di fatto. Quasi 170 testimoni dell’accusa sentiti in 84 udienze spalmate in poco meno di 12 mesi e la sentenza non prima del 2024. Sono i numeri del processo per il crollo a poco più di un anno dal suo inizio. Un processo partito con numerosi tecnicismi ma che via via entrato nel vivo e che adesso è quasi arrivato, salvo imprevisti, al giro di boa. Nel frattempo, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per 47 persone nel filone bis sulle autostrade liguri nato dopo il crollo.

Il processo principale vede 58 persone imputate tra ex dirigenti e tecnici di Autostrade e di Spea (l’ex controllata che si occupava di manutenzioni), funzionari del ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato delle opere pubbliche della Liguria. Le due società sono uscite patteggiando un risarcimento di quasi 30 milioni. Secondo l’accusa il ponte è crollato perché per decenni si è risparmiato sulle manutenzioni in modo tale da poter distribuire maggiori dividendi ai soci.

In questi mesi, con un ritmo di tre udienze alla settimana, sotto la tensostruttura installata nel cortile di palazzo di giustizia a Genova sono state ascoltate le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti, i rilievi tecnici dei periti che hanno accertato le cause del collasso, le parole degli ex vertici di Atlantia (dirompenti le dichiarazioni dell’ex Ad Gianni Mion che ha confermato che nel 2010 si parlò di “rischio crollo” per il viadotto in una riunione coi vertici di Aspi) ed Edizione, rispettivamente holding e cassaforte della famiglia Benetton, ma anche gli ex ministri come Graziano Delrio (attaccato duramente dalla ex moglie di una delle vittime dopo la deposizione) e Antonio Di Pietro. Per la lunghezza e complessità delle udienze ai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, che hanno coordinato le indagini della guardia di finanza, è stato affiancato anche il collega Marco Airoldi.

In autunno inizieranno gli esami degli imputati. Sono una ventina quelli che si sottoporranno alle domande: tra questi anche l’ex Ad di Aspi Giovanni Castellucci. Alcuni rilasceranno solo dichiarazioni spontanee. Dopo di che sarà la volta dei testimoni delle difese. E sempre in autunno potrebbe iniziare l’udienza preliminare per il filone bis che vede imputate 47 persone, la maggior parte le stesse del processo principale. L’indagine riguarda i falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose, il crollo della galleria Bertè in A26 (30 dicembre 2019) e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Per 12 di loro la procura ha proposto il patteggiamento. Secondo gli investigatori i tecnici di Spea ammorbidivano i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i lavori. Era stato scoperto, inoltre, che le barriere fonoassorbenti montate su alcuni tratti autostradali erano difettose e si erano staccate causando problemi agli automobilisti. Uno degli indagati aveva anche detto al telefono che erano “attaccate con il Vinavil”. Le due società Aspi e Spea sono uscite anche da questa inchiesta dopo avere patteggiato circa un milione di euro.

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